In Italia, il 55% delle donne dichiara di aver sperimentato una situazione di molestia, discriminazione o stereotipo e il 53% di essere stata oggetto di battute sessiste e volgari sul posto di lavoro. Il 68% sostiene aver visto rallentato il proprio percorso di crescita professionale – o quello di altre donne – a causa della maternità. Soltanto il 35,8% delle persone disabili di età compresa fra i 15 e i 64 anni ha un impiego, contro una percentuale del 58% nella medesima fascia di età. Questi sono soltanto alcuni dati, ne esistono molti altri. Tutti vanno nella stessa direzione: c’è ancora tantissimo da fare per la diversità e inclusione in azienda.
Il rischio del socialwashing e del pinkwashing
Questo tema è al centro dell’attenzione di Triplepact ed è anche oggetto di un libro pubblicato per Flaccovio dalla nostra fondatrice Cinzia Pilo: Mind the gap. Unicità e inclusione per il miglioramento delle performances sociali e di governance nelle aziende.
Oggi, infatti, di diversity & inclusion si parla tanto, soprattutto nelle grandi aziende. I dati, però, dimostrano che c’è ancora una grande distanza tra le dichiarazioni di intenti e i fatti. Chi va alla ricerca di una soluzione immediata – magari per risolvere una controversia salita all’attenzione pubblica – rischia di implementare un’iniziativa di pura facciata, etichettabile come social washing o pink washing. Bisogna tenersi ben alla larga da questo rischio, anche per motivi reputazionali. I consumatori, ormai, sono capaci di scavare sotto la superficie e condannano senza appello i brand che ritengono incoerenti.
Il metodo CORSA per migliorare diversità e inclusione
Le aziende devono fare qualcosa di diverso, cioè pianificare una strategia strutturata di diversity & inclusion. Questo processo in cinque fasi può essere definito come una vera e propria CORSA al cambiamento:
- Consapevolezza. Le persone provenienti da gruppi privilegiati (bianchi, etero, cisgender, normodotati) difficilmente si rendono conto dei privilegi e delle dinamiche di potere legate ai propri gruppi di appartenenza. Per questo, ogni strategia di diversità e inclusione deve prendere origine dal riconoscimento dei pregiudizi e preconcetti esistenti nell’organizzazione.
- Origine. Nelle aziende spesso si tenta di individuare i singoli colpevoli, le “mele marce”, attribuendo a loro la colpa di certi atteggiamenti. Certamente possono esserci persone particolarmente inadeguate, ma per cambiare davvero la situazione un’azienda deve chiedersi perché esistono disparità di trattamento al suo interno. E avere il coraggio di scardinare quegli atteggiamenti sbagliati che fino a quel momento sono stati “normalizzati”.
- Relazione. Oltre a elencare ai dipendenti una serie di valori e norme di comportamento, serve qualcosa di più: stabilire una relazione empatica con le categorie discriminate, invitandole a raccontare le loro esperienze e le conseguenze che hanno avuto.
- Strategia. A questo punto i tempi sono maturi per elaborare una strategia che agisca su tre ambiti: i comportamenti personali, i valori aziendali e le politiche istituzionali.
- Azione. Agire diversamente vuol dire iniziare ad applicare la strategia, comportandosi in modo diverso rispetto a prima. Attenzione: trattare tutti i dipendenti allo stesso modo è il modo migliore per discriminare. Un’azienda realmente inclusiva riconosce le differenze e le valorizza, anche attraverso iniziative e percorso ad hoc per le singole categorie di persone.
Anche tu vuoi migliorare la diversity&inclusion nella tua azienda? Un partner competente ti può aiutare a identificare le aree di miglioramento e mettere in atto progetti concreti e monitorabili. Per saperne di più, contattaci: il team di Triplepact è a tua disposizione.